IVA su servizio di mensa aziendale e sostitutivo a mezzo dei buoni pasto


Ai fini IVA, forniti chiarimenti sul servizio di mensa aziendale e servizio sostitutivo di mensa aziendale reso a mezzo dei buoni pasto (Agenzia delle entrate – Risposta 28 aprile 2022, n. 231).

Nel caso di specie la Società chiede chiarimenti in merito al trattamento ai fini IVA relativo al rapporto fra mensa aziendale e lavoratore dipendente, anche alla luce dei principi dettati nella risoluzione 75/E del 1 dicembre 2020, con particolare riferimento al caso in cui il pasto della mensa sia pagato dal lavoratore in parte in contanti ed in parte con i buoni pasto.
Ai fini della soluzione del quesito prospettato, nella risoluzione n. 63/E del 17 maggio 2005, con riferimento al trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA dei servizi sostitutivi di mense aziendali, è stato precisato che “Nel quadro della disciplina del reddito di lavoro dipendente, la somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti, da parte dei datori di lavoro, ovvero l’erogazione agli stessi di somme finalizzate all’acquisto di pasti, è regolata dall’articolo 51 (già 48), comma 2, lett. c), del TUIR, che prende in considerazione distinte ipotesi, e precisamente:
a) gestione diretta di una mensa da parte del datore di lavoro;
b) prestazione di servizi sostitutivi di mense aziendali (Ticket restaurant);
c) corresponsione di una somma a titolo di indennità sostitutiva di mensa.
Prescindendo dalla ipotesi sub c) che non interessa il caso di specie, occorre sottolineare come la collocazione di una fattispecie di somministrazione in una delle due residue categorie – a) o b) – sia di estrema importanza in considerazione del fatto che a ciascuna di esse corrisponde un differente trattamento tributario.”
Inoltre, il legislatore non ha dettato regole particolari in merito alle diverse opzioni disponibili sull’organizzazione dell’erogazione dei pasti ai dipendenti. Come evidenziato dalla circolare del 23 dicembre 1997 n. 326 “si ritiene, pertanto, che il datore di lavoro sia libero di scegliere la modalità che ritiene più facilmente adottabile in funzione delle proprie esigenze organizzative e dell’attività svolta e che possa anche prevedere più sistemi contemporaneamente. Ad esempio, può istituire il servizio di mensa per una categoria di dipendenti, il sistema dei ticket restaurant per un’altra categoria e provvedere all’erogazione di una indennità sostitutiva per un’altra ancora, oppure può istituire il servizio di mensa e nello stesso tempo corrispondere un’indennità sostitutiva o i ticket restaurant ai dipendenti che per esigenze di servizio non possono usufruire del servizio mensa”.
Ad ogni modo, a seconda della specifica tipologia di servizio prescelta dal datore di lavoro da erogare ai dipendenti, discende il relativo trattamento fiscale da applicare. Nello specifico, il n. 37) della Tabella A, parte II, del DPR n. 633 del 1972 prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 4 per cento per le “somministrazioni di alimenti e bevande effettuate nelle mense aziendali ed interaziendali, nelle mense delle scuole di ogni ordine e grado, nonché nelle mense per indigenti anche se le somministrazioni sono eseguite sulla base di contratti di appalto o di apposite convenzioni”.
L’articolo 75, comma 3, della Legge del 30 dicembre 1991, n. 413, ha stabilito che “L’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto del 4 per cento di cui al n. 37 della parte II della tabella A, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, prevista per le somministrazioni di alimenti e bevande rese nelle mense aziendali deve ritenersi applicabile anche se le somministrazioni stesse sono rese in dipendenza di contratti, anche di appalto, aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mensa aziendale, sempreché siano commesse da datori di lavoro. Non è ammessa in detrazione l’imposta relativa alla somministrazione di alimenti e bevande da chiunque effettuata nei confronti di datori di lavoro, tranne quella effettuata nei locali dell’impresa o in locali adibiti a mensa aziendale o interaziendale”.
Con il disposto normativo contenuto nell’articolo 75, comma 3, sopra citato – di interpretazione autentica delle disposizioni di cui al n. 37 della Tabella A, allegata al DPR n. 633 del 1972 – il legislatore ha inteso, dunque, chiarire l’ambito applicativo dell’aliquota del 4 per cento prevista per le somministrazioni di alimenti e bevande rese nelle mense aziendali, con l’intenzione di estenderlo espressamente anche alle somministrazioni effettuate in dipendenza di contratti aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mense aziendali, sempreché siano commesse da datori di lavoro. Come chiarito con risoluzione n. 35 del 28 marzo 2001, la norma sopra citata consente l’applicazione dell’aliquota ridotta del 4 per cento a tutte le prestazioni aventi ad oggetto somministrazioni fornite al personale dipendente nei locali ivi indicati. In particolare, con il documento di prassi sopra citato si è ritenuto che il legislatore fiscale abbia voluto oggettivamente agevolare in senso ampio l’attività di somministrazione ai dipendenti, purché realizzata nel locale “mensa aziendale”. La risoluzione n. 202 del 20 giugno 2002, con riferimento ad una questione correlata a quella in disamina – in tema di esonero dall’emissione dello scontrino – ha precisato il significato da attribuire alla locuzione “mense aziendali”, intendendosi per tali quelle la cui gestione è data in appalto ad un’impresa specializzata ovvero effettuata direttamente dall’azienda, indipendentemente dal luogo in cui è situata la mensa; inoltre l’appaltatore deve assumere l’obbligo di fornire la prestazione esclusivamente ai dipendenti del soggetto appaltante.
La disciplina del servizio sostitutivo di mensa aziendale mediante l’utilizzo dei buoni pasto è contenuta, invece, nel Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 7 giugno 2017, n. 122.
Nello specifico, l’articolo 3 del citato Decreto prevede testualmente che ” Il servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), è erogato dai soggetti legittimati ad esercitare: (…) b) l’attività di mensa aziendale ed interaziendale”. L’articolo 4 del Decreto prevede che “(…) i buoni pasto:
a) consentono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto; b) consentono all’esercizio convenzionato di provare documentalmente l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione (…)”. L’articolo 6, comma 1, del Decreto specifica che ” Il valore facciale del buono pasto è comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto prevista per le somministrazioni al pubblico di alimenti e bevande e le cessioni di prodotti alimentari pronti per il consumo”.
Dalla disciplina sopra richiamata emerge che il buono pasto (o ticket restaurant) è un documento di legittimazione (con specifiche caratteristiche) che attribuisce al titolare il diritto di ricevere la somministrazione di alimenti e bevande per un importo pari al valore facciale del buono stesso, il cui valore nominale è comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto. Tra gli esercizi legittimati a ricevere i buoni pasto sono ricomprese, tra l’altro, le attività di somministrazioni di alimenti e bevande e le mense aziendali e interaziendali.
In tale caso, l’operazione che rileva ai fini IVA è la prestazione di servizi che la mensa aziendale rende nei confronti della società emittente i ticket restaurant in favore del lavoratore. Tale prestazione di servizi consiste nell’impegno ad effettuare la somministrazione (articolo 4 del Decreto) all’atto della presentazione del buono pasto da parte del lavoratore.
Nel rapporto tra la società emittente i buoni pasto e la società che gestisce il servizio di mensa aziendale, che accetta i buoni pasto, la misura dell’aliquota applicabile sarà del 10 per cento, ai sensi del disposto di cui al n. 121) della tabella A, Parte III, del DPR n. 633 del 1972 riguardante le “somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande” (cfr. risoluzione 75/E/2020).
Considerato quanto sopra esposto, con riferimento al punto n. 4 lett. a) delle premesse, riferito al caso in cui “il lavoratore dipendente paga l’intero pasto (selezionando uno dei menù offerti dalla mensa aziendale) in denaro contante ovvero con altri mezzi di pagamento equivalenti (moneta elettronica, etc.)”, alla somministrazione di alimenti e bevande presso la mensa aziendale si applica l’aliquota agevolata del 4 per cento, ricorrendo i presupposti previsti dal n. 37 della Tabella A, parte II, del DPR n. 633 del 1972.
Nel caso di specie, infatti:
– ricorre, come presupposto, il contratto di appalto tra la Società Istante che eroga il servizio di mensa ed il soggetto committente (datore di lavoro) e
– sussiste l’obbligo, assunto dall’appaltatore, di fornire la prestazione ai dipendenti del soggetto appaltante.


Laddove “il lavoratore dipendente paga l’intero pasto mediante buoni pasto”, non si realizza l’esigibilità dell’IVA al momento della somministrazione del pasto, poiché, come già anticipato, l’operazione che rileva ai fini IVA è la prestazione di servizi che la mensa aziendale rende nei confronti della società emittente i ticket restaurant in favore del lavoratore, soggetta all’aliquota IVA del 10 per cento.
In tale evenienza, l’imposta diventa esigibile nel momento in cui la società che gestisce la mensa emette fattura nei confronti della società emittente i buoni pasto, mentre la base imponibile va determinata applicando la percentuale di sconto convenuta al valore facciale del buono pasto, scorporando, quindi, dall’importo così ottenuto, l’imposta del 10 per cento in esso compresa, mediante l’applicazione delle percentuali di scorporo dell’IVA indicate nel comma 4 dell’art. 27 del DPR n. 633 del 1972 (cfr. risoluzione n. 49 del 3 aprile 1996 e risoluzione 75/E/2020).
Va da sé che lo scorporo delle due diverse aliquote (4 per cento o 10 per cento) va fatto sempre facendo riferimento al prezzo convenuto, sicché non è corretto, come prospettato dall’istante, ipotizzare due listini prezzi differenziati sulla base del metodo di pagamento prescelto.


Con riguardo, infine, all’ipotesi secondo cui il lavoratore dipendente paga il pasto ” per parte in contanti e per parte in buoni pasto”, visto quanto già chiarito, ne deriva che:
– sulla quota parte del prezzo pagato in contanti o con mezzi elettronici, per cui si realizza il momento impositivo, l’aliquota IVA da scorporare sarà quella del 4 per cento;
– Sulla restante parte “pagata” mediante il buono pasto, il cui momento impositivo si realizzerà all’atto della fatturazione dei corrispettivi alla società emittente il buono pasto – perché, come detto, l’operazione che rileva ai fini IVA è la prestazione di servizi che la mensa aziendale rende nei confronti della società emittente i ticket restaurant (ossia l’impegno ad effettuare la somministrazione in favore del lavoratore) – l’aliquota IVA da scorporare sarà quella del 10%.
Posto quanto sopra, relativavamente al caso in cui il pasto della mensa sia pagato dal lavoratore in parte in contanti ed in parte con i buoni pasto (qualora il prezzo del servizio sia superiore al valore del buono pasto), le soluzioni operative prospettate dall’istante si pongono in contrasto con il quadro normativo di riferimento sopra delineato, nonché con i chiarimenti forniti in materia dall’Amministrazione Finanziaria nei vari documenti di prassi.


Con riguardo, infine, agli obblighi documentali nei confronti del lavoratore, i corrispettivi percepiti per la somministrazione di alimenti e bevande rese in mense aziendali – già esentati dagli obblighi di certificazione fiscale, in base all’articolo 2, comma 1, lett. i), del d.P.R. n. 696 del 1996 – sono altresì esonerati, in base a quanto previsto dal DM del 10 maggio 2019, dall’obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi, nonché dall’emissione del documento commerciale (cfr l’articolo 2 del dlgs n. 127 del 2015), qualunque sia il mezzo di pagamento. Resta, invece, l’obbligo di emissione della fattura per documentare le somme percepite dalla società emittente i buoni pasto.
Stante l’esenzione dagli obblighi certificativi, anche al fine di determinare l’IVA relativa ai corrispettivi già riscossi che deve partecipare alla liquidazione periodica, è necessario indicare separatamente nel registro dei corrispettivi di cui all’articolo 24 del dPR n. 633 del 1972:
a) le somme effettivamente riscosse, in quanto pagate dal lavoratore in contanti (ovvero con altri mezzi di pagamento elettronici) – la cui imposta, calcolata applicando l’aliquota del 4 per cento, è divenuta esigibile;
b) le somme non ancora riscosse, corrispondenti al valore dei buoni pasto – la cui imposta diverrà esigibile all’atto dell’emissione della fattura con aliquota al 10 per cento.


 

ILCCI: il modello di dichiarazione in Gazzetta Ufficiale


Pubblicato nella G.U. n. 98 del 28 aprile 2022, il modello di dichiarazione ai fini dell’imposta sul consumo di Campione d’Italia per i periodi di imposta 2021 e seguenti (Ministero Economia e Finanze – decreto 12 aprile 2022).

Il modello di dichiarazione dell’imposta locale sul consumo a Campione d’Italia (ILCCI) deve essere utilizzato a partire dall’anno d’imposta 2021, ed è composto da:
– il frontespizio, contenente anche l’informativa relativa al trattamento dei dati personali;
– i quadri A e Z.


Il modello dichiarativo è disponibile in versione PDF editabile sul sito Internet del Ministero dell’economia e delle finanze www.finanze.gov.it, ed altresì autorizzato l’utilizzo del modello prelevato da altri siti internet a condizione che abbia le medesime caratteristiche tecniche del modello approvato dal Ministero e rechi l’indicazione del sito dal quale è stato prelevato nonché gli estremi del presente decreto.


La dichiarazione può essere presentata:


– in formato cartaceo direttamente all’Ufficio tributi del Comune di Campione d’Italia (tale modalità è prevista anche per i contribuenti non residenti in Italia e non identificati mediante codice fiscale);


– a mezzo posta, mediante raccomandata senza ricevuta di ritorno, in busta chiusa recante la dicitura “Dichiarazione ILCCI” e l’anno d’imposta di riferimento, indirizzata all’Ufficio tributi del Comune di Campione d’Italia;


– mediante posta elettronica certificata al Comune di Campione d’Italia;


– in modalità telematica, dal contribuente oppure da un soggetto incaricato della trasmissione telematica, attraverso apposita applicazione gestita dal Ministero delle finanze, presente nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate (www.agenziaentrate.gov.it).


30 aprile 2022: scadenza rate 2020 di rottamazione e saldo e stralcio


Il prossimo 30 aprile è il termine per il pagamento delle rate della “Rottamazione-ter” e del “Saldo e stralcio” originariamente in scadenza nel 2020. (Agenzia delle entrate riscossione – Comunicato 28 aprile 2022)

Il prossimo 30 aprile è il termine per il pagamento delle rate della “Rottamazione-ter” e del “Saldo e stralcio” originariamente in scadenza nel 2020. La data è stabilita dalla legge di conversione del decreto Sostegni-ter (Legge n. 25/2022) che ha definito un nuovo calendario per andare incontro ai contribuenti che non sono riusciti a pagare le rate arretrate entro il termine del 9 dicembre scorso, offrendo quindi una nuova opportunità di mantenere i benefici previsti dalle definizioni agevolate. Per il versamento è possibile usufruire dei 5 giorni di tolleranza concessi dalla legge per cui, tenendo conto anche dei giorni festivi, il termine del 30 aprile, che cade di sabato e slitta a lunedì 2 maggio, si sposta a sabato 7 maggio rimandando di fatto la scadenza al lunedì successivo. Saranno così considerati validi i versamenti effettuati entro il 9 maggio.
Il pagamento deve essere effettuato utilizzando i bollettini già inviati da Agenzia delle entrate-Riscossione e riferiti alle originarie scadenze delle rate 2020 (febbraio, maggio, luglio e novembre per la Rottamazione-ter; marzo e luglio per il Saldo e stralcio) che è possibile anche richiedere sul sito internet www.agenziaentrateriscossione.gov.it. In caso di versamenti oltre i termini previsti o per importi parziali, verranno meno i benefici della misura agevolata e i pagamenti già effettuati saranno considerati a titolo di acconto sulle somme dovute.
Si ricorda che il decreto “Sostegni-ter” ha definito nuovi termini anche per il versamento delle rate della “Rottamazione-ter” e del “Saldo e stralcio” originariamente in scadenza nel 2021, nonché per quelle della definizione agevolata previste nel 2022. I contribuenti che non sono riusciti a regolarizzare i pagamenti nei termini di legge hanno la possibilità di mantenere le agevolazioni se il pagamento sarà effettuato entro il 31 luglio, per le rate del 2021, e il 30 novembre per quelle previste nel 2022.

Isa, definiti i criteri per l’accesso al regime premiale 2021


L’Agenzia delle Entrate ha individuato i livelli di affidabilità fiscale ai quali sono collegati i benefici premiali relativi al periodo d’imposta 2021, confermando gli stessi livelli di punteggio previsti lo scorso anno per l’accesso ai benefici fiscali e che il giudizio di affidabilità può essere conseguito anche sulla base della media dei punteggi ottenuti a seguito dell’applicazione degli ISA per il periodo d’imposta in corso e quello precedente (Agenzia Entrate – provvedimento 27 aprile 2021, n. 143350).

L’art. 9-bis, co. 11, D.L. n. 50/2017, conv., con modif., dalla L. n. 96/2017 prevede uno specifico regime premiale con riferimento ai contribuenti per i quali si applicano gli ISA.
In particolare, è previsto:
– l’esonero dall’apposizione del visto di conformità per la compensazione di crediti per un importo non superiore a 50.000 euro annui relativamente all’imposta sul valore aggiunto e per un importo non superiore a 20.000 euro annui relativamente alle imposte dirette e all’imposta regionale sulle attività produttive;
– l’esonero dall’apposizione del visto di conformità ovvero dalla prestazione della garanzia per i rimborsi dell’imposta sul valore aggiunto per un importo non superiore a 50.000 euro annui;
– l’esclusione dell’applicazione della disciplina delle società non operative (art. 30, L. n. 724/1994);
– l’esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici;
– l’anticipazione di almeno un anno, con graduazione in funzione del livello di affidabilità, dei termini di decadenza per l’attività di accertamento (art. 43, co. 1, D.P.R. n. 600/1973) con riferimento al reddito di impresa e di lavoro autonomo;
– l’esclusione della determinazione sintetica del reddito complessivo (art. 38, D.P.R. n. 600/1973), a condizione che il reddito complessivo accertabile non ecceda di due terzi il reddito dichiarato.


Al riguardo va tenuto in considerazione che i primi due benefici di esonero, con riferimento all’imposta sul valore aggiunto, per la specifica annualità di imposta, non risultano correlabili ai livelli di affidabilità fiscale conseguenti all’applicazione degli ISA per l’analogo periodo d’imposta, a causa della diversa scadenza dei termini di presentazione della richiesta di compensazione e/o di rimborso del credito IVA infrannuale, nonché della dichiarazione annuale IVA, rispetto al termine di presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette.
Pertanto, con il nuovo provvedimento del 27 aprile 2022, l’Agenzia delle Entrate disciplina, per il periodo d’imposta 2021, le condizioni in presenza delle quali si rendono applicabili i benefici in argomento.


Con riferimento alla prima tipologia di beneficio, l’esonero dall’apposizione del visto di conformità sulla dichiarazione annuale è riconosciuto ai contribuenti che, per il periodo d’imposta 2021, presentano un livello di affidabilità almeno pari a 8, per la compensazione dei crediti di importo non superiore a:
– 50.000 euro annui relativi all’imposta sul valore aggiunto, maturati nell’annualità 2022;
– 20.000 euro annui relativi alle imposte dirette e all’imposta regionale sulle attività produttive, maturati nel periodo d’imposta 2021.


L’esonero dall’apposizione del visto di conformità sulla richiesta di compensazione del credito IVA infrannuale, maturato nei primi tre trimestri dell’anno di imposta 2023, è riconosciuto, per crediti di importo non superiore a 50.000 euro annui, ai contribuenti con un livello di affidabilità almeno pari a 8 per il periodo di imposta 2021.
I suddetti benefici sono riconosciuti anche ai contribuenti che presentano un livello di affidabilità complessivo almeno pari a 8,5, calcolato attraverso la media semplice dei livelli di affidabilità ottenuti a seguito dell’applicazione degli ISA per i periodi d’imposta 2020 e 2021.


Per quanto concerne il secondo beneficio, l’esonero dall’apposizione del visto di conformità, ovvero dalla prestazione della garanzia, sulla richiesta di rimborso del credito IVA maturato per l’anno di imposta 2022, è riconosciuto, per crediti di importo non superiore a 50.000 euro annui, ai contribuenti con un livello di affidabilità almeno pari a 8 per il periodo di imposta 2021.


L’esonero dall’apposizione del visto di conformità, ovvero dalla prestazione della garanzia, sulla richiesta di rimborso del credito IVA infrannuale maturato nei primi tre trimestri dell’anno di imposta 2023, è riconosciuto, per crediti di importo non superiore a 50.000 euro annui, ai contribuenti con un livello di affidabilità almeno pari a 8 per il periodo di imposta 2021.
Tali benefici sono riconosciuti anche ai contribuenti che presentano un livello di affidabilità complessivo almeno pari a 8,5, calcolato attraverso la media semplice dei livelli di affidabilità ottenuti a seguito dell’applicazione degli ISA per i periodi d’imposta 2020 e 2021.


Riguardo all’esclusione dell’applicazione della disciplina delle società non operative, tale beneficio è riconosciuto per il periodo d’imposta 2021:
– ai contribuenti con un livello di affidabilità almeno pari a 9 per il periodo di imposta 2021;
– ai contribuenti con un livello di affidabilità complessivo almeno pari a 9, calcolato attraverso la media semplice dei livelli di affidabilità ottenuti a seguito dell’applicazione degli ISA per i periodi d’imposta 2020 e 2021.


Per quanto concerne l’esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici, il beneficio è riconosciuto per il periodo d’imposta 2021:
– ai contribuenti con un livello di affidabilità almeno pari a 8,5 per il periodo di imposta 2021;
– ai contribuenti con un livello di affidabilità complessivo almeno pari a 9, calcolato attraverso la media semplice dei livelli di affidabilità ottenuti a seguito dell’applicazione degli ISA per i periodi d’imposta 2020 e 2021.


Riguardo all’anticipazione di almeno un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento è stabilito che i termini di decadenza per l’attività di accertamento, sono ridotti di un anno, con riferimento al periodo d’imposta 2021, nei confronti dei contribuenti con un livello di affidabilità almeno pari a 8 per il medesimo periodo di imposta.


In relazione all’esclusione della determinazione sintetica del reddito complessivo, il beneficio è riconosciuto ai contribuenti ai quali è attribuito un livello di affidabilità almeno pari a 9 per il medesimo periodo di imposta, a condizione che il reddito complessivo accertabile non ecceda di due terzi il reddito dichiarato.
Il beneficio è riconosciuto anche ai contribuenti che presentano un livello di affidabilità complessivo almeno pari a 9, calcolato attraverso la media semplice dei livelli di affidabilità ottenuti a seguito dell’applicazione degli ISA per i periodi d’imposta 2020 e 2021.


I contribuenti che conseguono, nel medesimo periodo di imposta, sia reddito di impresa sia reddito di lavoro autonomo, accedono ai benefici premiali se:
– applicano, per entrambe le categorie reddituali, i relativi ISA, laddove previsti;
– il punteggio attribuito a seguito dell’applicazione di ognuno di tali ISA, anche sulla base di più periodi d’imposta, è pari o superiore a quello minimo individuato per l’accesso al beneficio stesso.


L’individuazione delle suddette soglie di accesso ai predetti benefici è stata effettuata in conformità a quelle già individuate con riferimento al periodo d’imposta 2020, tenuto conto dei dati dichiarativi relativi a tale annualità.

Aiuti di Stato a imprese durante l’emergenza Covid-19: le regole e l’autodichiarazione


È online il modello di dichiarazione sostitutiva che le imprese che hanno ricevuto aiuti di Stato durante l’emergenza Covid-19 devono inviare all’Agenzia delle Entrate. Il documento serve ad attestare che l’importo complessivo dei sostegni economici fruiti non superi i massimali indicati nella Comunicazione della Commissione europea “Temporary Framework” e il rispetto delle varie condizioni previste. L’autodichiarazione deve essere inviata fra il 28 aprile e il 30 giugno 2022 tramite un apposito servizio web disponibile nell’area riservata del sito o attraverso i canali telematici dell’Agenzia (Agenzia delle entrate – Provvedimento 27 aprile 2022, n. 143438).

Con il citato provvedimento n. 143438/2022, in attuazione del decreto Mef dell’11 dicembre 2021, è stato approvato lo schema di autodichiarazione e sono state definite le regole, i termini di presentazione e le modalità di restituzione volontaria degli importi in caso di superamento dei massimali.
La dichiarazione sostitutiva approvata con il provvedimento di oggi deve essere presentata da tutti gli operatori economici che hanno percepito aiuti previsti dalle norme agevolative che rientrano nel c.d. regime “ombrello” (articolo 1, commi da 13 a 15, del “Decreto Sostegni”). In particolare, nel caso in cui la dichiarazione sia stata già resa in sede di presentazione della comunicazione/istanza per l’accesso a quegli aiuti che già prevedevano l’autodichiarazione, la presentazione della dichiarazione sostitutiva “generale” non è obbligatoria, a meno che il beneficiario non abbia successivamente fruito di ulteriori aiuti tra quelli elencati nell’articolo 1 del “Decreto Sostegni”. In quest’ultimo caso, infatti, la dichiarazione va comunque presentata riportando i dati degli ulteriori aiuti successivamente goduti, nonché di quelli già indicati nella dichiarazione sostitutiva precedentemente presentata.
Anche i contribuenti che si avvalgono della definizione agevolata delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato delle dichiarazioni (articolo 5, commi da 1 a 9 del Dl n. 41/2021) devono inviare la dichiarazione entro il 30 giugno oppure, se successivo, entro il termine di 60 giorni dal pagamento delle somme dovute o della prima rata. Si tratta, nello specifico, dei contribuenti con partita Iva attiva al 23 marzo 2021 che, a causa della situazione emergenziale, nel 2020 hanno subìto una riduzione superiore al 30 per cento del volume d’affari rispetto all’anno precedente.
La dichiarazione va, comunque, presentata quando:
– il beneficiario ha fruito degli aiuti riconosciuti ai fini IMU senza aver compilato nella precedente dichiarazione sostitutiva il quadro C;
– il beneficiario ha superato i limiti massimi spettanti e deve riversare gli aiuti eccedenti i massimali previsti;
– il beneficiario si è avvalso della possibilità di “allocare” la medesima misura in parte nella Sezione 3.12, sussistendone i requisiti ivi previsti, e in parte nella Sezione 3.1 del Temporary Framework, qualora residui il massimale stabilito.
La dichiarazione deve essere inviata dal 28 aprile al 30 giugno 2022, esclusivamente con modalità telematiche, direttamente dal contribuente o tramite soggetto incaricato della trasmissione delle dichiarazioni, utilizzando il servizio web disponibile nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate oppure, in alternativa, tramite i canali telematici.
Entro cinque giorni dall’invio viene rilasciata una ricevuta che attesta la presa in carico o lo scarto della dichiarazione.
In quest’ultimo caso, sarà comunque considerata tempestiva la dichiarazione trasmessa nuovamente entro i cinque giorni successivi alla comunicazione di scarto dell’Agenzia.